sabato 18 gennaio 2014

Uno scultore per l'architettura: l'esperienza dell'edificio di via Cimarosa 7 a Milano




Uno scultore per l'architettura: l'esperienza dell'edificio di via Cimarosa 7 a Milano

La prima mostra milanese di  Gino Cosentino alla Galleria Santa Redegonda nel marzo- aprile del 1946, con il pittore Pippo Pozzi, ospitava solo tre sculture in gesso e due bassorilievi, con alcuni disegni. Eppure, a giudicare dall'unica riproduzione d'epoca di un'opera sacra dal titolo Caduta dalla Croce (1946) decisiva appariva l'impronta dell'ultimo Martini, in una figurazione plasmata per tocchi veloci, con la consapevolezza del volume e di una materia corposa, in una sottile ambiguità della forma plastica. Ambiguità che costringeva allora Beniamino Joppolo a dichiarare una sorta di  incertezza di fronte alla esplicita rigidità delle figure umane. Scriveva, infatti, Joppolo nel testo di presentazione alla mostra: "Non riusciamo a stabilire fino a qual punto la rigidezza delle figure  scolpite da questo giovane scultore appartengano alla innocenza e fino a che punto appartengano al caricaturale, al grottesco. Quelle gambe scheletriche, quelle schiene dritte, quei volti tesi in una perplessità fissata depongono a favore della seconda possibilità. I due bastoni della figura curva che aiutano le spalle pericolanti a sostenersi per non dissolversi nella polvere sono un motivo di carità cristiana che ci commuove. I bassorilievi bruciano un fatto plastico per liberarsi in un'atmosfera pittorica entro cui figure e alberi si muovono romanticamente e sentimentalmente".
Gli ingredienti della plastica di Cosentino, le costanti del suo approccio alla scultura apparivano in nuce in quella prima apparizione pubblica: una visione religiosa dell'uomo e della natura; il referente martiniano nell'ambiguità delle figure, tra realismo ed espressione trasognata; una predilezione per la materia come "natura" e infine, una parallela attenzione al bassorilievo pittorico che rivelava una inclinazione verso la componente architettonica.
Negli anni Cinquanta la sua produzione è ancora figurativa, spesso ispirata alla scultura romanica, ai bestiari dei capitelli romanici, in un dialogo costante con l'antico  che non appare mai adesione a un motivo esteriore o a una moda, ma si traduce in un dialogo di fede con il creato, in una visione panica del mondo animale. La pietra è la sua materia privilegiata, come se le "nature", ovvero le figure animali, nascessero dalla pietra stessa. E' per tale ragione che - prima ancora della successiva avventura nell'ambito della non figurazione organica, allora particolarmente diffusa e considerata da Cosentino come uno sviluppo intimo della propria predilezione per la materia come natura-  l'artista si impegnerà in una significativa collaborazione architettonica e crederà da quel momento nella scultura per l'architettura come conseguenza moderna delle più antiche tradizioni. Mi riferisco al primo episodio a noi noto di collaborazione di Cosentino nell'edificio di Via Cimarosa 7 a Milano ideato dall'architetto Gian Domenico Belotti (1954-55). Milano nella primavera -estate del 1954 era stata interessata da  episodi sperimentali di "sintesi delle arti" alla X Triennale di Milano, soprattutto nell'ambito della plastica parietale: fece scalpore allora una grande parete murale, dal titolo Plastica parietale di Umberto Milani realizzata per l'ingresso del Palazzo dell'Arte in calcestruzzo e sabbia, realizzata  mediante calchi in gesso; una concezione di scultura a muro, aderente all'architettura, che fu subito impiegata dall'architetto Ico Parisi, sempre in quella Triennale, nel Padiglione Soggiorno ( oggi Biblioteca del Parco), con un bassorilievo in facciata affidato ancora a Milani.
E se l'architetto De Carli elogiò in quell'occasione la parete di Milani nella convinzione di una raggiunta unità nella concezione stessa del "muro", nell'impiego del calcestruzzo, l'esempio non dovette lasciare indifferente nemmeno l'architetto Belotti che visitò allora la Triennale. La plastica di Milani, in direzione informale e segnica, traduceva nella materia la frammentarietà  dell'espressionismo astratto trasformando il muro in una dimensione "autre", secondo la celebre definizione di Michel Tapié. Dunque Belotti chiamò Cosentino a concepire per il proprio edificio di via Cimarosa 7 una composizione figurativa costituita da animali, impiegando la medesima tecnica del bassorilevo in calcestruzzo realizzato con calchi in gesso, con un'allusione indiretta alla pratica infantile e mediterranea del calco nella sabbia. L'artista intervenne qui direttamente nei pilastri portanti dell'ingresso, in una nuova concezione di collaborazione, a stretto contatto con l'architetto e mediante un intervento  previsto  nel corso dell' edificazione dell'architettura, non essendo più chiamato l'artista  a intervenire in uno spazio già dato né a inventare una forma autonoma slegata dal contesto. Razionalismo dell'architettura  e figurazione semplice, ingenua, in leggero aggetto sul pilastro liscio di calcestruzzo, parvero coniugarsi in quell'occasione: qui Cosentino raffigurò sui pilastri portanti e sulle solette animali di buon auspicio per la casa, amorosi accoppiamenti, binomi, trinomi, famiglie di animali, come di consueto nella sua produzione plastica, quindi espresse in libertà i personali motivi che contemporaneamente realizzava anche in pietra. Senza dubbio l'esperienza della dimensione architettonica dovette servire allo scultore, che da quel momento, forse grazie alla mediazione di Belotti, entrò in un circuito di scultura per l'architettura che avrà, come è noto, molta fortuna, per tutta la vita. 
 Tra 1954 e 1955, contemporaneamente alla commissione di Cosentino, Belotti entrò invece  in contatto con i fratelli Pomodoro, che nel 1955 fecero una importante mostra alla Galleria del Naviglio di Milano: anch'essi, come prima Milani e Cosentino, operavano mediante l'espediente dei calchi, però in  continui passaggi tra positivo e negativo, in modo da rendere irriconoscibile la matrice originaria. A loro Belotti affidò la realizzazione di solette e sottobalconi nell'edificio di via Canonica 7 A (1958), sempre in calcestruzzo e in corso d'opera: un episodio di sintesi delle arti che servirà da modello per molte architetture milanesi, tra cui anche il successivo, non distante edificio dell'architetto Ruggero Farina Morez in via Melzi d'Eril 29 (1965) con interventi analoghi a bassorilievo  di Cosentino nelle solette e una scultura organica  nell'atrio. Dopo il 1955 infatti la scultura italiana prenderà, anche grazie agli episodi segnici di Emilio Scanavino e soprattutto con le sperimentazioni dei fratelli Pomodoro, un nuovo corso in direzione di un informale segnico, ma anche di una rinnovata oggettualità. A questi sviluppi Cosentino non aderirà, sviluppando, coerentemente con le premesse dei primi anni Cinquanta, una non figurazione organica in cui le coppie di forme e gli elementi complementari saranno protagonisti di un'affabulazione lirica.

Paolo Campiglio

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